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Guido Gozzano — Le due strade

    Guido Gozzano-poesie

    Per raccontare una bella storia, a volte servono fiumi di pagine e di inchiostro.

    A volte, basta un haiku, a volte il silenzio.

    In questo caso, il Guido ci guida in una storia bellissima, una trama semplice e compìta, in 100 versi esatti.

    Ma cosa succede ne “Le due strade“?

    Guido ed una attempata signora camminano in una strada alpina (“tra bande verdigialle di innumeri ginestre”),  quand’ecco che li raggiunge, su una bicicletta, una ragazza diciottenne, che è stata a balia dalla vecchia.

    Mentre le due donne chiacchierano, Guido si gode la bellezza di sta gran figliola e non può fare a meno di constatare che preferirebbe invecchiare (“discendere alla Morte come per rive calme”) con a fianco la “dolcesorridente”, che di fatto si chiama Graziella (forse una premonizione sulle future e diffusissime biciclette? Non lo sapremo mai), e non lo caga di striscio.

    Mentre segna sul suo taccuino mentale tutti i pro e contro di un potenziale cambio di femmina, citando senza edulcorazioni i segni del declino della vecchia con cui scampagnava, viene assalito dalla prepotente irruzione della realtà, e cioè “..e non avrai per mano, la dolcesorridente”.

    Ergo, una volta capito che non c’è (né ci sarà) trippa per gatti, il Guido attende che l’indifferenza verso di lui si sciolga, e, una volta interpellato dalla sua vecchia, la stupisce con un ribaltamento di reazione emotiva, che levati.

    Qui le mie note personali —> VAI ALLE NOTE PERSONALI

    Le due strade

    Tra bande verdi gialle d’innumeri ginestre
    la bella strada alpestre scendeva nella valle.

    Andavo con l’Amica, recando nell’ascesa
    la triste che già pesa nostra catena antica;

    quando nel lento oblio, rapidamente in vista
    apparve una ciclista a sommo del pendio.

    Ci venne incontro; scese. “Signora! Sono Grazia!”
    sorrise nella grazia dell’abito scozzese.

    “Graziella, la bambina?” – “Mi riconosce ancora?”
    “Ma certo!” E la Signora baciò la Signorina.

    La piccola Graziella! Diciott’anni? Di già?
    La Mamma come sta? E ti sei fatta bella!

    “La piccola Graziella, così cattiva e ingorda!…”
    “Signora, si ricorda quelli anni?” – “E così bella

    vai senza cavalieri in bicicletta?” – “Vede…”
    “Ci segui un tratto a piede?” – “Signora, volentieri…”

    “Ah! ti presento, aspetta, l’Avvocato, un amico
    caro di mio marito… Dagli la bicicletta.”

    Sorrise e non rispose. Condussi nell’ascesa
    la bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose.

    E la Signora scaltra e la bambina ardita
    si mossero: la vita una allacciò dell’altra.

    Adolescente l’una nelle gonnelle corte,
    eppur già donna: forte bella vivace bruna

    e balda nel solino dritto, nella cravatta,
    la gran chioma disfatta nel tocco da fantino.

    Ed io godevo senza parlare, con l’aroma
    degli abeti, l’aroma di quell’adolescenza.

    – O via della salute, o vergine apparita,
    o via tutta fiorita di gioie non mietute,

    forse la buona via saresti al mio passaggio,
    un dolce beveraggio alla malinconia.

    O bimba, nelle palme tu chiudi la mia sorte;
    discendere alla Morte come per rive calme,

    discendere al Niente pel mio sentiere umano,
    ma avere te per mano, o dolce sorridente! –

    Così dicevo senza parola. E l’Altra intanto
    vedevo: triste accanto a quell’adolescenza!

    Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
    colei che vide al gioco la piccola Graziella.

    Belli i belli occhi strani della bellezza ancora
    d’un fiore che disfiora e non avrà domani.

    Al freddo che s’annunzia piegan le rose intatte,
    ma la donna combatte nell’ultima rinunzia.

    O pallide leggiadre mani per voi trascorse-
    ro gli anni! Gli anni, forse, gli anni di mia Madre!

    Sotto l’aperto cielo, presso l’adolescente
    come terribilmente m’apparve lo sfacelo!

    Nulla fu più sinistro che la bocca vermiglia
    troppo, le tinte ciglia e l’opera del bistro

    intorno all’occhio stanco, la piega di quei labri,
    l’inganno dei cinabri sul volto troppo bianco,

    gli accesi dal veleno biondissimi capelli:
    in altro tempo belli d’un bel biondo sereno.

    Da troppo tempo bella, non più bella tra poco,
    colei che vide al gioco la piccola Graziella.

    – O mio cuore che valse la luce mattutina
    raggiante sulla china tutte le strade false?

    Cuore che non fioristi, è vano che t’affretti
    verso miraggi schietti, in orti meno tristi.

    Tu senti che non giova all’uomo soffermarsi,
    gittare i sogni sparsi per una vita nuova.

    Discenderai al niente pel tuo sentiere umano
    e non avrai per mano la dolce sorridente,

    ma l’altro beveraggio avrai fino alla morte:
    il tempo è già più forte di tutto il tuo coraggio. –

    Queste pensavo cose, guidando nell’ascesa
    la bicicletta accesa d’un gran mazzo di rose.

    Erano folti intorno gli abeti nell’assalto
    dei greppi fino all’alto nevaio disadorno.

    I greggi, sparsi a picco, in gran tinniti e mugli
    brucavano ai cespugli di menta il latte ricco;

    e prossimi e lontani univan sonnolenti
    al ritmo dei torrenti un ritmo di campani.

    – Lungi i pensieri foschi! Se non verrà l’amore –
    che importa? Giunge al cuore il buono odor dei boschi:

    di quali aromi opimo odore non si sa:
    di resina? di timo? e di serenità?… –

    Sostammo accanto a un prato e la Signora china
    baciò la Signorina, ridendo nel commiato:

    “Bada che aspetterò, che aspetteremo te;
    si prende un po’ di the, si maledice un po’…”

    “Verrò, Signora, grazie!” Dalle mie mani in fretta
    prese la bicicletta. E non mi disse grazie.

    Non mi parlò. D’un balzo salì, prese l’avvio;
    la macchina il fruscìo ebbe d’un piede scalzo,

    d’un batter d’ali ignote, come seguita a lato
    da un non so che d’alato volgente con le ruote.

    Restammo alle sue spalle. La strada, come un nastro
    sottile d’alabastro, scendeva nella valle.

    Volò, come sospesa la bicicletta snella:
    “O piccola Graziella, attenta alla discesa!”.

    “Signora! arrivederla!” Gridò di lungi, ai venti:
    di lungi ebbero i denti un balenio di perla.

    Graziella è lungi. Vola vola la bicicletta:
    “Amica! E non m’ha detta una parola sola!”.

    “Te ne duole?” – “Chi sa!” – “Fu taciturna, amore,
    per te, come il Dolore…” – “O la Felicità!”

    Note personali

    A parte il fatto che poesie così ben levigate fanno bene all’anima e alla pelle, ringiovaniscono e fanno respirare meglio, qui siamo di fronte ad una vera e propria canzone.

    Un incipit, una scena, tre personaggi, ed il teatro della vita quotidiana in cui filtra un po’ di rassegnazione, di dolciastra malinconia. Che il Guido ci sa restituire con una precisione ed una perfezione che purtroppo non ha la luce che meriterebbe.

    Che bellezza.

    L’utilizzo del Guido di formule lessicali geniali (“la vita l’una allacciò dell’altra”, “di lungi ebbero i denti un balenio di perla”, “il tempo è già più forte di tutto il tuo coraggio”, “Da troppo tempo bella, non più bella tra poco”) e della rima interna, chiastica, ad ogni verso spinge la lettura al verso successivo, in un sinuoso andirivieni di parole.

    Questa è una delle poesie più belle sulla faccia della terra. Perchè è semplice, immediata, eppure sfiora con le dita la sublimità del taciturno.

    Di chi osserva dal vivo e contemporaneamente dall’esterno, i casi della sua vita.

    E come è dolce il Guido quando si ripiglia dal torpore di questa bellezza rubiconda, e suggerisce alla sua vecchia che sì, la giovane Graziella è stata “taciturna, come il dolore”, ma anche, e sopratutto “come la felicità”.

     

     

     

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