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Jack Roland – La Ballata del Levriero Rosso – L’Albero Dei Cieli

    Jack Roland - La Ballata del Levriero Rosso - L'Albero Dei Cieli 1

    Premessa

    A me il fantasy fa cagarissimo. Ma proprio che viene dopo l’elenco degli ingredienti dello shampoo per la macchina.

    Dopo aver letto Tolkien, avevo promesso davanti all’effigie di San Donnino, con la sua testa in mano, che non avrei letto più nulla che parlasse di spiriti elfi e gnomi.

    Molto meglio la fantascienza, la space opera, che almeno ci stanno le astronavi, gli imperi galattici, i brodi senzienti (vedi Solaris).

    Ma poi, ho conosciuto personalmente Jack, e, senza che lui lo sapesse, mi sono accattato il libro per il gusto di leggere il pugno di qualcuno che ho conosciuto personalmente (l’ho già detto?).

    Eccolo qui, taaaaaaac:

    Jack-Roland-albero-dei-cieli-la-ballata-del-levriero

    Lo scrittore Jack Roland

    Jack Roland è un personaggio mitologico, metà scrittore, metà grande anima, metà sceneggiatore.

    Quindi già è un uomo e mezzo, e ha scritto questo libro Fantasy.

    Io, ripeto, con molta reticenza, ho iniziato a leggerlo, e… wow!

    Innanzi tutto, non ci sono odiosi elfi del cazzo perfettini che sono contemporaneamente tiratori infallibili, geografi sapienti, cavallerizzi acrobati, prossimi all’illuminazione e sopratutto con l’immunità batteriologica (mai visto un elfo con l’influenza).

    Ecco, già questo è un punto a favore del libro, che possiamo (possiamo?) identificare come un low-fantasy medievaleggiante.

    In egual misura, non ci sono nani altrettanto del cazzo, birra a fiumi, e tutto il folklore fantasy che fa venire il latte alle ginocchia.

    E allora cosa c’è ne “La Ballata del Levriero Rosso”?

    Ci sono gli uomini. Solo uomini. Ed un po’ di magia. Ma per lo più uomini.

    Ah, e donne. E che donne!

    Vehibinn, bambina scampata all’ecatombe della sua famiglia, che vive la rinascita da un incubo. In una sorta di battesimo iniziatico, condotta dal suo ricongiungimento con l’anima ferale, animale, profonda e libera.

    Averil, sacerdotessa curandera e combattente. Mascolina e femminea al contempo. (è ufficiale, mi sono innamorato di lei)

    Ethan, fratello di Vehibinn, che scopre molto presto quanto il mondo faccia schifo e quanto gli adulti possano essere merde.

    Beròul, monaco, pastore, protettore, bi(o tri)centenario. A differenza dell’odioso ed infallibile Gandalf, è un uomo, con le sue passioni ed i suoi conflitti. Ha fatto delle cazzate nonostante la sua vocazione ed i poteri che ne conseguono, e non ne fa mistero, specie a sé stesso.

    Gandalf
    Gandalf mi sta sul cazzo

    E questo è, a mio parere, il grande angolo di visuale, sia tecnico che stilistico, che rende La Ballata del Levriero un libro da leggere.

    Perché, oltre ad una tecnica molto pulita e chiara, c’è che, finalmente, si parla di uomini utilizzando il mezzo fantasy, e non si parla… di fantasy, dei suoi archetipi e dei suoi stilemi, utilizzando ancora sé stesso per raggiungerli ed annusarli.

    In questo libro ci sono bei personaggi, belle tensioni, belle descrizioni, al servizio di caratteri lontani nel tempo e nell’immaginario, ma vicini per l’universalità delle loro emozioni. Dei loro conflitti.

    Nemmeno uno dei personaggi, principali o minori, sembra messo lì, così senza storia, senza padrone. Tipo quando alla recita di fine anno trovavi il Piero Brusadelli (nome fittizio, non rompete i maroni che è pura fiction) che faceva l’albero. Sapevi che era un bambino, ma non faceva nulla di significativo per tutta la storia, e non catturava l’attenzione manco dei suoi genitori (NdR: Piero Brusadelli ora si sta disintossicando in una struttura di Como)

    Qui no, ci sono fili che legano tutto e tutti: luoghi, conoscenze, vecchi screzi, forze magiche.

    Ci sono attimi di vero terrore, in tinte horror, e momenti dal respiro chiaro e consapevole, di meraviglia di fronte alla maestosità della natura. In uno spettro di lettura ampio e ben attrezzato. Quasi monumentale.

    Questo libro vale cento storielle di elfi e orchi, io ve lo dico. 

    Noi, attraverso gli occhi mai assoluti dei personaggi, ci aggiriamo nel Connacht, osservando questa e quella vicenda, una razzia o una congiura.

    La cosa più impressionante che è riuscito a fare Jack, è fornire un’intero mattonazzo Fantasy, senza la scocciante presenza del “bene Vs male”, senza un personaggio che abbia in sè la chiave di volta dei valori etici.

    Tutti si trascinano, un po’ sballottati, un po’ consapevoli, tra astinenza e pentimento, tra sesso e castità (no, questo è Battiato, ma rende molto bene l’idea), tra azioni e rimpianto.

    Insomma, un po’ come noi, come tutti i mortali, come, appunto, gli umani. Spaventati a volte, coraggiosi altre, Jack Roland vince la faciloneria del rinchiudere ciascun personaggio in una maschera da commedia dell’arte fantasy, che avvicina la letteratura più al GDR che alla vera funzione della stessa: viaggiare con la mente, attraversando, a volte, anche stagni pieni di merda.

    Averil, meriterebbe, a mio avviso, una mini saga solo per lei. Per i suoi conflitti, per la sua evidente determinata fragilità. Per il coraggio. Perché è figa.

    In ultimo, in modo estremamente generoso, Jack Roland ci fornisce un’attenta analisi dei suoi toponimi, riproponendoci il “gioco” del dare nomi alle cose, in finale del libro.

    “Gioco” che lo ha visto impegnato durante la stesura dello stesso, e che “a carte scoperte” Jack ci trascrive.

    Cosicché il lettore possa, come in un commiato, salutare gli ambienti, le città, i villaggi, le caverne, chiamandoli per nome, e scoprendone il significato. Come quando vai in vacanza all’Elba e compri le cartoline.

    Ecco, la stessa cosa.

    Clicca sul libro.

    E niente. Compratelo.

     

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