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Paolo Longarini — Brando

    Brando - Paolo Longarini - Diapostrofo

    Ho letto per puro caso “Brando” di Paolo Longarini, qualche settimana fa.

    Per puro caso perché ci sono inciampato sui social, senza una ricerca attiva, senza conoscere l’autore, senza nulla che mi potesse sussurrare “leggi Brando” nell’orecchio, la notte (cosa che con altri libri, invece, capita).

    Vabbè pago insomma i miei 4,99 €uri di e-book (sì, sono un forte sostenitore dei libri digitali, quindi?) e leggo le prime tre pagine.

    STOOOOOOOOOP!

    Se avete freddo, vi agevolo subito la copertina:

    Brando - Paolo Longarini - Diapostrofo

    Cliccate sulla copertina e verrete reindirizzati alla pagina Amazon (link Affiliato) del libro: 92 pagine, self-published, distribuito da Amazon.

     

    Il folgorante mondo di Brando

    STOOOOOOOOOP! Dicevamo.

    Hai presente come si deve essere sentito un cercatore d’oro, armato di pic e pala, quando, esausto, tirava la zanzata alla roccia giusta, e scopriva un filone d’oro? No, di sicuro, perché la febbre dell’oro ci ha dugento anni e non credo tu possa raccontarlo dal vivo.

    Nemmeno io, d’altro canto, ma posso immaginare. Perché è così (forse) che mi sono sentito.

    Dopo aver letteralmente maledetto alcuni autori ed autrici, che mi hanno SPACCATO L’ANIMA (e di cui volutamente ho glissato le recensioni) ed i maroni, nelle prime tre pagine trovo un “mea culpa” dell’autore, che in sintesi ci suggerisce:

    Non sono un “vero scrittore” o almeno non mi ci sento. Ho scritto questa cosa, e mi sembra che piaccia.

    Almeno, a me piace. Tanto.

    Mi son divertito a scriverla e vorrei che la leggessi anche tu

    Respect.

    Tra decine e decine di se-dicenti scrittori, che scrivono porcherie inenarrabili con assoluta assenza di contenuti, e spesso anche di stile, trovo finalmente un autore che dice “boh, io mi ci son divertito, giochiamo insieme?”

    Finalmente!

    La faccio brevissima: Longarini partecipa ad un corso di scrittura creativa (anche se probabilmente in qualche baule aveva lasciato a maturare un bel talento), il pezzo viene corretto, allungato, raccontato, approfondito, ed ecco che nasce Brando.

    La storia di Brando, di Paolo Longarini

    Brando NON è il protagonista del libro, praticamente non incroceremo mai Brando in quasi tutto il libro.

    In realtà il libro parla del padrone di Brando, un vecchiaccio risentito col mondo, che ci viene presentato come il classico rompicoglioni ottuagenario che potremmo aver incontrato al bar, o più facilmente all’imbocco del cimitero, dal giornalaio o in coda in banca, o alle poste.

    Un intralcio alla vita possente ed esemplare dell’iper-produttività post moderna.

    Queste pagine portano a scrutare al di là dell’odore di bollito, ai capelli rarefatti e alla puzza di vecchio che ci repellono, regalandoci una storia dentro la Storia.

    Perché il vecchio che puzza di bollito, probabilmente, ha imbracciato un fucile, sessant’anni fa, e ha fatto e visto ed annusato cose che noi ancora, non possiamo che immaginare. 

    Dalla parte giusta o dalla parte sbagliata non importa, eravamo Italiani contro Italiani, un po’ come oggi, ma senza l’ipocrisia di un voto o di una melassa chiamata tregua.

    I capitoli si alternano tra la storia moderna (o meglio, troppo post-moderna) di emarginazione (autoimposta?) e di piccole rivalse e soddisfazioni, sassolini tolti grazie alla sola spavalderia che solo i vecchi possono avere, ed il passato. Quel passato. Quel ventennio che ha ingarbugliato un sacco di cose. Tra cui la vita del protagonista.

    Il ventennio di Brando

    Nel ventennio stava nella squadra dei neri, quelli che hanno dettato legge e poi hanno perso (più o meno). E anche in quel contesto, così compatto, lineare, “ad angoli retti”, una difficoltà congenita nell’adeguarsi alla dottrina, nel provare coraggio “a comando” ed una sempre più irrefrenabile passione per Gherardo, lo portano ad accentuare un groviglio vitale, fulcro di una leva il cui braccio lungo sostiene e modifica ogni singolo giorno del presente.

    Sì, in questo libro si parla (anche) di omosessualità. Ma non come viene spacciata e tagliata in modo dozzinale dalla narrativa cinematografica italiana (dove, se non c’è almeno un frocio, il film non è abbastanza buonista per il pubblico compiaciuto. Compiaciuto di sentirsi finalmente moderno, per poi tornare fuori dal buio di sala a dare del ricchione come insulto pesante).

    Nel ventennio fu un ricchione nel regime degli anti-ricchioni, con la difficoltà enorme di celare rapporti sessuali compiuti di nascosto da tutti. Un amore corrisposto, passionale, senza una “casa” che potesse accoglierlo nè che potesse essere costruita per farlo.

    Quanto cazzo hanno sofferto i ricchioni nel ventennio?

    E, torturato tra le spinte dell’amore e i trattenimenti del dovere d’armata, compie delle scelte codarde, da anti-eroe.

    Come biasimarlo? Nel nostro mondo dove “perfetto” sembra l’unico aggettivo concepito a descrizione di un carattere, non ci troviamo mai a scegliere tra la vita e la morte (o almeno non mediamente). Di solito siamo di fronte a scelte ben più edulcorate. Tipo che gusto scegliere di gelato.

    Ma quindi Brando è un libro triste?

    No, geniale.

    Perché prende a schiaffi di dritto e di rovescio il lettore, offrendo bastoni e carote contemporaneamente.

    A parte le trovate esilaranti ed il cinismo cosmico che contraddistingue la “modernità” del personaggio principale, che strapperanno molte risate, a chi sa cogliere un umorismo a metà fra il surreale ed il black.

    A parte le scene che starebbero benissimo in un cortometraggio, i dialoghi sagaci, gli episodi segnanti anche nella loro semplicità.

    A parte la poesia che si nasconde dietro ogni guappo apparentemente inflessibile e duro (dietro ogni scudo c’è sempre un braccio molle ed un fianco scoperto).

    C’è tanto, tanto, tanto amore e tanto dolore.

    E riuscire a mostrare l’orrore del passato, l’orrore delle scelte sbagliate, l’orrore intrinseco del regime fascista, alternandolo con boccate di parole molto ben scritte, è un esercizio difficile e non-banale. Finalmente narrativa croccante, senza le pretese mistiche di Erri de Luca, senza le pappardelle vuote. Ogni capitolo è un cazzo di capitolo. Ci dice qualcosa, si trasforma, è un tramonto, un’alba, una fase di transizione.

    Regole comuni della narrativa? Provate a leggere un libro a caso consigliato da Amazon, di qualche autore minore. Scoprirete più interessanti gli scontrini del macellaio.

    Qui no. Santo Dio Finalmente: c’è un cosmo dove il passato ha davvero delle conseguenze profonde sul presente, nel libro come nella vita reale.

    Conseguenze che ancora, ci toccano e possiamo sentire, camminando, leggendo i giornali, e che fatichiamo a dettagliare e a togliere dal vetro fumé dei libri di storia.

    Di cosa bisogna accontentarsi allora? Di una vita piallata da uno sbaglio giovanile, in un ventennio dove tutto era eretto, turgido, inflessibile e maschio? Di condividere gli ultimi anni con un cane, randagio almeno quanto il cuore del vecchio? Di aspettare che la glicemia e il diabete uccidano finalmente e possano mettere fine, sopratutto ai ricordi?

    Forse.

    Sicuramente, leggendo questo libro, si è felici di farsi trasportare nel “backstage” della vita, dei comportamenti e del cinismo di un vecchio che potresti aver incontrato ieri, al bar, e di cui ci siamo completamente dimenticati.

    Bravissimo Longarini.

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